Catalogo della mostra
18 dicembre 2003 - 29 febbraio 2004
Quando abbiamo scelto il titolo Viverealtrove per questo quarto quaderno-catalogo della PinAC abbiamo pensato ad almeno due punti di vista di tale estraneità: quello di noi occidentali, che consideriamo altrove i Paesi geograficamente lontani e quello di chi, non occidentale, considera l’Occidente in cui si trova, l’ altrove con cui fare i conti. Ci sono sembrate due facce della stessa medaglia ed è per questo che il quaderno propone due percorsi per accedere ai quali lo si deve capovolgere. Tale capovolgimento allude a mettersi anche nei panni dell’altro, a decentrarci dal nostro punto di vista per entrare nell'altrui.
In collaborazione con: Emergency, Una Strada-Progetto per Kim, Bambine e bambini del mondo, Fondazione G. Piccini per i diritti dell'Uomo, Operatori ONU, sezione Diritti Umani, in Timor Est.
Il termine ‘altrove’, viene dall’etimo latino aliter ubi, diversamente dove. Dunque un segnale di diversità, di non appartenenza o di estraneità ad un luogo.
Quando abbiamo scelto il titolo Viverealtrove per questo quarto quaderno-catalogo della PinAC abbiamo pensato ad almeno due punti di vista di tale estraneità: quello di noi occidentali, che consideriamo altrove i Paesi geograficamente lontani e quello di chi, non occidentale, considera l’Occidente in cui si trova, l’ altrove con cui fare i conti. Ci sono sembrate due facce della stessa medaglia ed è per questo che il quaderno propone due percorsi per accedere ai quali lo si deve capovolgere. Tale capovolgimento allude a mettersi anche nei panni dell’altro, a decentrarci dal nostro punto di vista per entrare nell'altrui.
Abbiamo affrontato questo viaggio in compagnia di africani, indonesiani, indiani, curdi, brasiliani e guatemaltechi e con organizzazioni che condividono nelle loro pratiche, la nostra riflessione. Tutti i bambini e le bambine – fatta eccezione per i ragazzi degli ospedali di Emergency - sapevano dove sarebbero volati i loro lavori, sapevano di avere un interlocutore diverso e lontano. C’è, nei loro disegni la consapevolezza di raccontare di sé, del proprio mondo ad altri.
In che modo l’hanno fatto?
Per apprezzarlo bisogna entrare in punta di piedi nei loro elaborati e mettersi in ascolto. Dopo di ciò la prima osservazione che si può fare è ribadire che il contesto fa il disegno.
Molti delle bambine e dei bambine autori non possiedono personalmente carta e matite/colori per poter disegnare (Timor est, Burchina Faso, Nord Est del Brasile, Iraq) e ciò che hanno prodotto è avvenuto perché l’operatore o la volontaria di turno hanno offerto direttamente gli strumenti.
Ciò vuol dire che in questi casi il supporto prevalentemente utilizzato è stato il formato A4 foglio bianco da fotocopiatrice, usato in senso orizzontale (come si appoggia il foglio così viene usato). Vuol ancora dire che gli strumenti erano matite, pennarelli o al massimo pastelli a cera, nessuna tecnica e un uso parecchio ‘intimidito’ del mezzo. Timidezza comunque ben superata nei lavori africani che hanno via via scoperto il gioco del colore e la potenza liberatoria e ludica del segno. Il pastello a cera, nelle mani dei bambini, è diventato una speciale cartina di tornasole sul dove avviene il disegno quando ha catturato, in un inconsapevole frottage, la texture della stuoia su cui è accovacciata Sandrine che ha ha colorato la sua Tristesse metà nera e metà arancione, o le textures di altre stuoie su cui dormivano i ragazzini del villaggio che hanno raccontato qu’ est-ce qui il y a dans la nuit, quel che vedevano nella notte, dalla loro capanna.
Molti dei docenti coinvolti con le loro classi hanno proposto modelli da disegnare
( parecchi elaborati riportano lo stesso soggetto nelle medesime modalità rappresentative) e hanno ritoccato i disegni stessi per renderli ‘migliori’, evidentemente secondo un’estetica personale, ma anche pensando a chi li avrebbe ricevuti, quindi all’estetica occidentale. Ciò che abbiamo esposto in Viverealtrove rappresenta quel che ci è sembrato, pur facendo i conti con il modello, maggiormente reinterpretato dai piccoli autori.
Si può ancora dire che nei due casi (India e Guatemala) in cui l’istituzione scuola è più organizzata e consapevole in relazione a percorsi estetico-espressivi, si trova qualche tecnica in più (tempera, ecoline, colori a olio) e qualche formato diverso (probabilmente utilizzando scarti di tipografia o simili).
Riguardo ai contenuti rappresentati si può notare che l’intento dei lavori eseguiti dall’India a Timor Est al Burkina Faso, è prevalentemente informativo: mostrare la casa tipica, il villaggio,la magnificenza architettonica e cromatica del tempio, l’organizzazione sociale, il paesaggio, il tipo di coltivazione la caccia.
La vida en mi comunidad è il titolo del concorso realizzato dal guatemalteco Centro Monte Cristo che ha indirizzato volutamente i ragazzi delle scuole rurali coinvolte sugli aspetti della vita collettiva. I contenuti riguardano allora il villaggio, la scuola, la cooperativa come centro propulsivo e vitale dove ci si affaccenda, si gioca, si caccia, si coltiva, si intessono relazioni e si vivono affetti.
I disegni brasiliani traboccano di energia e movimento. Campeggiano famiglie numerosissime con promiscuità manifeste e segnalate, pioggia e vento spazzano i fogli, occhieggiano miti e superstizioni, risuonano i passi acrobatici della caponeria.
Per i lavori dei bimbi del Kurdistan irakeno, ricoverati negli ospedali di Emergency il discorso cambia. Non si tratta di voler informare qualcuno lontano bensì di oggettivare pensieri, fantasmi, paure e anche sogni di normalità. Il pastore guida il suo gregge e il militare è all’erta cercando di individuare la prossima mina nel lavoro di Yassim, il fiore di Falah giganteggia nel foglio, ricco di colori ma dall’ espressione dolente, la mina scoppia nelle strade del villaggio di Aran, Yassim ha l’animo del poeta e disegna uccelli che sorvolano giardini intrecciando dolci canzoni, la mina scoppia nel prato della casa di Barzan, la guerra invade il foglio e il cuore di Nasser ma qualche alberello cerca tenacemente di far capolino.
Testi di riflessione lapidari che valgono mille conferenze sull’insensatezza della guerra e la sua disumanità.
In apertura parlavamo di due punti di vista sull’altrove , ma ci piace ipotizzare ci sia un terzo aspetto che possa essere segnalato e che ci sembra ben rappresentato dal disegno La passeggiata nel bosco di Daša Pylaeva , di 5 anni di Tver, Russia 1966.
La bimba narra come intessendo un arazzo o un tappeto prezioso, di un bosco abitato da animali leggiadri ed elegantissimi, dei rami danzanti di un grande albero dimora di uccelli e scoiattoli, della possibilità di passeggiarvi all’interno senza riferimenti necessari al reale. In questa stilizzazione che gioca i colori dell’ocra, del rosso e del nero mi sembra mirabilmente tracciato l’altrove fantastico cui tutti apparteniamo. Sì perché esiste un altrove comune e accessibile a tutte le bambine e i bambini di questo pianeta che non ha a che fare con la fisicità della terra ma con l’impalpabile materia dei sogni: è il mondo della fantasia e della poesia. Se segnalare le diversità culturali è importante per costruire la pace e la comprensione fra i popoli, è altrettanto fondamentale identificare la matrice comune che ci rende degni del termine Umanità, di cui fantasia e poesia sono marche irrinunciabili..
Viverealtrove vuole contribuire a questo duplice impegno, perché la PInAC crede intensamente che tutti i bambini e le bambine del mondo devono poter raccontare liberamente e in pace, di questo altrove comune e senza latitudini.
Il nostro ringraziamento, per le preziosissime collaborazioni, va in particolare a Patrizia Lavaselli, Gianni Trotter dell’associazione Una Strada, Nello Martello della Fondazione G.Piccini per i Diritti dell’Uomo, Anna Cordini di Emergency, Micaela Pasini dell’ONU, sezione Diritti Umani per la missione in Timor Est.
Elena Pasetti
direttrice PInAC