Dentro il villaggio

Gli edifici del vivere quotidiano. Uno sguardo oltre l’Occidente.

VISIONI DI ARCHITETTURE e di URBANISTICHE
di Francesco Caggio

Rapporti e visioni

Volutamente ho parlato nel titolo di “visioni” perché mi pare che le case, i palazzi, le capanne, le roulotte e ancora le strade, le piazze, gli spazi comunitari e aperti che stanno intorno alle abitazioni… siano, tutte queste cose,  riportate, nel ristretto del foglio, quasi in una dimensione onirica su un registro visionario; certamente per molte delle opere esposte e per alcuni particolari di esse.

E’ come se le emergenze architettoniche  e le matasse urbanistiche “sormontino” i bambini spingendoli e sollecitandoli -sia quando sono linearmente articolate sia quando sono invece aggrovigliate, complesse e articolate- come a una produzione grafica sussultante, vivida, quasi sbozzata o ancora stupita, meravigliata, rapita e presa.
Certo sappiamo che le strade, le case…meglio il dedalo delle strade, la cortina delle case …possono e sono,  anche agli occhi di un adulto, fascinose, richiamanti, anche disorientati e perse per le evocazioni, le memorie, le fantasie e le immaginazioni che lasciano  sorgere e fluttuare sulla vita degli altri e su quella eventuale e possibile del soggetto che rimira.

Tutti restano presi da incroci stradali, da incastri di abitazioni, da scorci di campanili e ciminiere perché le  forme architettoniche e urbane sembrano darsi come “naturali” pur essendo e rimanendo manufatto umano, squisitamente e del tutto umano; fatto con le “mani” dell’uomo eppure quasi vive e pulsanti: sono vive e pulsanti nonostante la loro apparente inerzia.

Bisognerebbe chiedersi  se la grande fascinata meraviglia che molte opere esprimono e  comunicano sia legata al rapporto grande-piccolo o ancora limitato-esteso fra il bambino e i manufatti e ancora fra questo e il dilatarsi del paese, del paesaggio abitato e della città; rapporti in base al quale il bambino può avvertire la sua “piccolezza” rispetto a un grattacielo e la sua “limitatezza” rispetto alla dimensione quasi imprendibile degli scenari in cui si dipana il suo vivere quotidiano; richiamato ad innalzarsi e tendersi al cielo per un verso e ad andare verso gli orizzonti per un altro verso, ancora.

Sarà anche per tutto questo incrociarsi di una geometria  e di una topologia che paiono gemmare forme e spazi che si affermano e che si dilatano,  che in quasi tutte le opere si ritrovano punti di vista che,  a volte pur nello stesso disegno, si incrociano e si sovrappongono o si completano; viene fatto di pensare che il bambino volendo forse riuscire con il suo disegnare e nel suo foglio,  a catturare e a   prendere tanto,  forse tutto, adotti più punti di vista, adotti più occhi muovendoli lungo le architetture e le urbanistiche come a cogliere angoli, superfici e volumi che, se presi da un solo punto, di vista sfuggirebbero.

E’ come se avvertendo la totalità e la globalità di forme e spazi, ma ovviamente percependone solo aspetti  parziali voglia come ricomporli e completarli riportandola all’unitarietà di quella totalità e quella globalità che sente esserci e sollecitalo, anzi anche richiamarlo.  

Ci sono opere di una ricchezza di punti di vista da apparire appunto, oniriche e visionarie, ma anche molto, molto concretamente realistiche pur con una vena di super-realismo quasi sconfinante per certi aspetti nell’espressionismo dilatante la realtà o in un certo surrealismo di chagalliana memoria.

E’ come se in alcune opere il bambino volesse avere gli occhi dentro, fuori, intorno, sopra e di lato…ai manufatti e  ai contesti da raffigurare restituendone tutta la scansione geometrica, topologica e formale.

Niente di anonimo

E’ per la meraviglia fascinata a cui si alludeva sopra; è per il segreto che ogni costruzione porta con sé    per quei suoi silenziosi rapporti e incastri  che la tengono su , ma che non si vedono; è per l’incuriosito dipanarsi delle strade…, che molte delle le opere sono coloristicamente e graficamente intricanti: intricanti è in questo caso la parola che pare più pertinente.

Come abbiamo fatto noi adulti a non accorgerci dallo smagliante colore  e dell’accaldato appoggio delle case sotto un manto di neve? Dovremmo quindi sapere, ormai, che la neve rende smaglianti le case e meglio le contorna e soprattutto le ammanta tenendole insieme, vicine e come fra loro attaccate ancor più fra il freddo patito e il calore che chiedono.
Certo che ormai sappiamo, sempre come adulti,  che una città colorata forse aiuta gli occhi e la mente e le distrae e le rallegra; forse questo lo sappiamo per avere già guardato e osservato bene disegni fatti di  sapienza di città infantili. Si sa che non c’è nulla a volte in città e paesi di più turisticamente richiamante, ma evidentemente umanamente richiamante, di cortine di case fra loro in colloquio cromatico che ne esalta l’esistenza, che le drammatizza, che le identifica, che le rende facilmente identificabili e nominabili, magari con nomi di favole proprio a  partire dai colori; umanamente richiamanti, come si diceva,  perché il colore dà ad ogni casa un’identità e la fa quindi più casa, proprio quella casa lì: riconoscibile e quindi più intimizzabile    

Colore: è questo che chiedono i bambini, ma che ormai, dopo anni di tenuità ingrigite, chiediamo tutti a dare risalto al nostro fondale, alla nostra scena di vita  così freddamente e sinteticamente rutilante in alcuni casi e così anonimo in altri.

Ma non solo; pare recuperabile, in alcune opere, una sorta di rapimento e apprezzamento dello stagliarsi dei volumi l’uno con l’altro restituendo quella sorpresa che nasce, con il relativo gradimento, per lo scarto dell’occhio dato dall’incontro di volumi che, pure e proprio nella loro diversità, mantengono aperto un dialogo che restituisce anche volume al soggetto che vi sta dentro; e in questi scarti e scatti di volumi si ritrova qua e là la magia del richiamo del verticale delle ciminiere e dei campanili e della rotondità , fatta con le mani, della cupole.. 

E laddove ci sono preziosi, a volte miniaturistici , grafismi questi sono quasi ossessivi omaggi alla messa insieme, alla messa accanto, alla ripetizione, alla sovrapposizione di linee e forme come a restituire da una parte un accanimento di formiche costruttive e dall’altra una precisione da astratto e lecorbusiano disegnatore di superfici che attraggono per la loro regole e ordinata  evidenza e presenza.

Abbiamo quindi precisissime mura, metafisici costruzioni quasi irreali,  grattacieli di un bianco e nero fotografico e alla “mondrian”  che restituiscono , nella loro ripetizione, un antico innamoramento per la fitta rete di linee che fra loro creano moduli e tessiture di ordinata “furia” costruttiva che pare esaltare la purezza delle forme elementari.

Quando poi il colore e la linea (anzi i colori e  le linee) e i punti di vista vengono articolati e connessi con una ricca gamma nel primo caso, con una incisività assertiva nel secondo caso e un’arditezza plurima nel terzo caso ci vengono restituite visioni come precisamente accigliate e  puntute che ci restituiscono la sedimentazione caleidoscopica di cui ogni paesaggio di vita quotidiana è costituito e percepibile da chi si lascia sopraffare, per un attimo, da questa compresenza di linee, di piani e di  volumi coesistenti in un multiforme spazio per articolazioni e segmentazioni in tanti altri angoli e scorci.         

Certo che pur guidati, che pur lasciati più o meno liberi….,certo è che  comunque siano stati chiamati o invitati a produrre queste opere,  in molte di esse sbalza fuori un acuto avvertimento di tutta una serie di questioni legate sia al disegnare costruzioni, come fanno  gli architetti,  sia al riprodurre costruzioni, sempre come fanno gli architetti! Così come sbalza fuori la creativa ricreazione di  manufatti e di trame urbane, proprio disegnandole: sempre come fanno i veri architetti! Questioni  che lasciano intuire che essi, i bambini, colgono, crescendo nell’immersione quotidiana a cui sono ovviamente soggetti, la rilevanza affettiva, emotiva, percettiva e sensoriale dei manufatti e dei contesti che li circondano; manufatti e contesti  che certamente sollecitano e  sostengono, per alcuni versi,  la loro sensibilità e il loro occhio che, forse in parte, sono anche determinati, nel loro avvertire e restituire il mondo,  sia dagli uni ( i manufatti architettonici)  sia dall’altro (il contesto di vita quotidiana).

Gli edifici del vivere quotidiano.
Uno sguardo oltre l’Occidente. 
5 Dicembre 2004 –  30 marzo 2005

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